Una vera e propria “Prosciuttopoli“.
A partire dal 2017 la procura di Torino e di Pordenone stanno svolgendo delle indagini per i reati di associazione a delinquere finalizzata per la frode in commercio, falso, contraffazione dei marchi, e truffa ai danni dell’Unione europea.
Di conseguenza sono state sequestrate oltre 300 mila cosce di maiale che rappresentano il 10% della produzione nazionale ovvero, secondo la stima de “ilfattoalimentare.it”, corrispondenti a circa 90 milioni di euro, inoltre I prezzi del prosciutto Dop sono aumentati, dopo l’inchiesta, per la difficoltà di trovare le cosce di maiale lavorabili sono.
Queste cosce, destinate ad essere vendute come prosciutti Dop, sono in realtà di razza geneticamente diversa, ossia di verro Duroc danese; ma i Disciplinari, che stabiliscono i criteri da rispettare per la certificazione Dop sia del Parma che del San Daniele, non prevedono razze di suini diversi da quelli italiani.
Questi animali presenti negli allevamenti di Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia e Romagna assicurano una crescita più rapida con conseguente abbattimento dei costi, una carne più magra e un miglior rapporto tra il peso della carcassa a freddo e il peso vivo prima della macellazione.
Non ci sono pericoli per i consumatori, ma il gusto cambia per via di un minor grasso e muscolatura.
I danni sono stati subiti da più di 140 allevatori che hanno introdotto i maiali danesi, ma in realtà questa truffa è partita da un tecnico di un centro genetico di Torino che trafficava sperma danese ma poi, secondo alcuni, gli allevatori si sarebbero accordati con ingrassatori, macellai e produttori.
I primi, gli ingrassatori, avrebbero venduto i maiali prima dei 9 mesi previsti, poi i macellai li avrebbero lavorati nonostante il peso minore rispetto a quanto stabilito dai Disciplinari, ed infine i produttori avrebbero ignorato la qualità della carne così come i due istituti certificatori, l’Istituto Parma Qualità e l’Ifcq Certificazioni, che controllano salumi e formaggi Dop e Igp per conto del Ministero delle Politiche Agricole.
Questi ultimi dal 1° maggio 2018 verranno controllati per 6 mesi dall’Icqrf: ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari.
In particolare all’Istituto Parma Qualità, sono state sospese per 6 mesi le autorizzazioni per le funzioni di controllo
Mentre per l’Ifcq, il Ministero sostiene che le difformità dei controlli dipendano dalle decisioni prese in seguito all’acquisizione delle certificazioni dall’Istituto Nord Est Qualità.
I due istituti non hanno risposto alle domande di Business Insider Italia, ma hanno preso l’impegno di rispettare rigidamente i controlli, in particolare la verifica auricolare per il tipo genetico dei verri, ispezione diretta dei box degli animali e della documentazione.
Il Consorzio Prosciutto di Parma ha assicurato che nessuna delle cosce suddette è diventata né diventerà Prosciutto di Parma e ugualmente le cosce in stagionatura sono state identificate, inoltre ha dichiarato di essere parte lesa nonostante i loro aderenti abbiano acquistato cosce di maiale differenti da quelle solite dal 2014.
Eppure secondo quanto dichiarato da Tom Servetto, legale di molti degli allevatori, le differenze tra i due tipi di carne sono molto chiare, di conseguenza allevatori, macelli, produttori erano a conoscenza della verità.
Tuttaviva gli allevatori sotto inchiesta erano costretti ad allevare i verri danesi richiesti dal mercato e paradossalmente quegli stessi produttori che imponevano quel tipo di carne stanno chiedendo il risarcimento dei danni (inizialmente tra i 18 e i 22 euro a coscia, oggi siamo a 50/60 euro) per questo si parla di un’estorsione commerciale.
Servetto sostiene che gli allevatori hanno la colpa di aver raggirato le regole anziché cercare di cambiare i disciplinari e dello stesso avviso è il titolare dell’inchiesta, il procuratore Vincenzo Pacileo, che d’accordo con Ministero e Assosuini ha autorizzato lo sblocco delle 300 mila cosce, se gli allevatori avessero amesso la verità e se alle cosce danesi fosse stato rimosso il marchio per essere utilizzate per altri prosciutti.Ad ogni modo, ad averci rimesso sono sopratutto i consumatori italiani che hanno acquistato prosciutti, non dop, ma pagandoli come se lo fossero.