“Cosa c’entra un cavalcavia che crolla con l’aumento del prezzo del gasolio, la legge europea che obbliga i camionisti a non superare le nove ore di guida in una giornata e la concorrenza polacca?”
Se lo chiedeva Milena Gabanelli in un video della sua rubrica “Dataroom” per il Corriere della Sera.
La giornalista ha provato a rispondere a questa domanda, spiegando che la ricaduta di eventi slegati tra loro ha spinto le aziende di trasporti a caricare di più per risparmiare.
“La maggior parte dei viadotti” affermava l’ex conduttrice di Report “sono stati costruiti alla fine degli anni Cinquanta e inizio anni Sessanta, quando i trasporti da 100 tonnellate erano rarissimi”.
Ma da allora è cambiato tutto:
“è cresciuto il trasporto su gomma e pian piano anche i carichi eccezionali. Ed è proprio il «peso», che, anno dopo anno, ha stressato i ponti”.
E ad influire è stato anche il prezzo del gasolio: “alla fine degli anni Settanta costava la metà rispetto alla benzina, oggi è quasi uguale, 1 euro e 44 al litro”.
E “nel 2006 sono arrivate le regole europee, che impongono ai camionisti di non guidare per più di 4 ore e mezza consecutive (9 nella giornata), con il tachigrafo digitale che impedisce di sgarrare”.
Poi la concorrenza straniera ha contribuito al fallimento di circa 34mila aziende di trasporto italiane: “Per dare un’idea: il costo orario lordo di un conducente italiano è pari a 28,14 euro, contro i 10 euro di un polacco. Così la nostra quota di mercato ha perso il 21%, mentre quella delle imprese dei Paesi dell’Est Europa è passata dal 15 al 55%.”
La morale, secondo Gabanelli, è che “da anni si carica di più per fare meno viaggi e tagliare sui costi. I viadotti però sono sempre quelli degli anni Settanta, ma nessuno ha provveduto a rinforzarli, perché non esiste un monitoraggio sulle ricadute delle leggi e fenomeni di mercato”.
Corriere della Sera 2 aprile 1998 – Pagina 24
L’ Iri accelera sulla vendita di Autostrade
ENTRO IL 20 APRILE LISTA DEGLI ACQUIRENTI
L’Iri accelera sulla vendita di Autostrade ROMA – L’Iri da’ un colpo di acceleratore alla privatizzazione della societa’ Autostrade. Ieri una rapida riunione del consiglio d’amministrazione e’ servita a ufficializzare la richiesta ai due advisor dell’operazione, Imi e Schroeder, di completare entro il prossimo 20 aprile la ricognizione dei potenziali acquirenti. A quel punto, le carte saranno in tavola e l’operazione si fara’ alle condizioni che il mercato indica. La mossa del presidente dell’Iri, Gian Maria Gros – Pietro, ha l’aria di una risposta alle lentezze degli ultimi mesi, che l’istituto di via Veneto ha mostrato di non volersi vedere messe in conto. Dopo lo stop imposto dalle resistenze della Corte dei conti al prolungamento di vent’anni della concessione alla societa’ Autostrade, che ha dato luogo a una diatriba giuridica conclusa con la decisione del governo di chiedere alla magistratura contabile la “registrazione con riserva dell’atto”, e’ rimasta irrisolta la questione delle modalita’ di privatizzazione. L’indicazione iniziale del governo, che prevede una vendita sul modello Telecom – cioe’ con un nucleo stabile di azionisti affiancati dall’azionariato diffuso dei piccoli risparmiatori – e’ rimasta finora formalmente invariata, nonostante siano emerse ipotesi diverse. La cosiddetta cordata veneta, che e’ sembrata finora la piu’ interessata all’acquisto, ha infatti chiesto gia’ dall’estate scorsa di passare alla formula del “nocciolo duro”, cioe’ un gruppo di azionisti di controllo con le loro quote azionarie unite da un patto di sindacato. Una generica disponibilita’ in tal senso mostrata dall’Iri e dal governo non e’ stata seguita da alcuna decisione concreta. Nel frattempo Gros – Pietro ha manifestato un certo interesse per la formula della public company pura, cioe’ la vendita di tutte le azioni sul mercato senza la formazione di un gruppo di controllo. Si e’ cosi’ arrivati alla presa di posizione di ieri che, fissando per il 20 aprile la resa dei conti con la disponibilita’ reale del mercato finanziario, sollecita implicitamente il governo a sciogliere il nodo delle modalita’ di privatizzazione. Tanto piu’ che sia le incertezze di queste settimane, sia il forte rialzo in borsa dei titoli Autostrade, ormai abbondantemente al di sopra di quota 8 mila lire, hanno raffreddato l’entusiasmo della “cordata veneta”. Come peraltro sottolineato nei giorni scorsi dalla famiglia Benetton, promotrice della cordata.
G. Me.
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Gian Maria Gros-Pietro (Torino, 4 febbraio 1942) è un dirigente d’azienda italiano, presidente di Atlantia S.p.A. (già Autostrade S.p.A.). (dal 2010 presidente Fabio Cerchiai ad Giovanni Castellucci)
Laureato in Economia presso l’Università di Torino, ha insegnato economia nello stesso ateneo dal 1965 al 2004. Dal 2004 dirige il dipartimento di scienze economiche e aziendali dell’Università LUISS di Roma.
Dal 1997 al 1999 ha guidato la liquidazione dell’IRI con la carica di presidente. Analogo incarico ha ricoperto all’Eni dal 1999 al 2002.
Il professor Gros-Pietro siede nei consigli di amministrazione di Atlantia, Fiat S.p.A, Edison, Seat Pagine Gialle e Adige (BLM group).
Dal 1º aprile 2009 è presidente del Credito Piemontese (gruppo Credito Valtellinese).
Concludendo: è un reato essere il soggetto liquidatore di un “bene pubblico” e immediatamente dopo diventare un dirigente del soggetto che ha acquisito il bene pubblico liquidato?
No, probabilmente no, però…. questa è una parte (non secondaria) della logica che a portato all’immenso regalo fatto ad Autostrade per l’Italia spa (Atlantia)