In questa analisi sul voto delle elezioni regionali della Sardegna partiamo anzitutto dalla percentuale dei votanti.
Quanto all’affluenza alle urne, domenica è andato a votare il 53,7 per cento degli elettori sardi (1.470.401 gli aventi diritto al voto; 790.347 i votanti; 53,75% la percentuale dei votanti rispetto agli aventi diritto), l’1,5 per cento in più rispetto alla tornata del 2014.
Resta invece vistoso il divario con le politiche del 4 marzo 2018 quando in Sardegna si recò a votare il 65,5% degli aventi diritto. Rispetto alle politiche ultime, nelle regionali quindi ha votato circa il 12% per cento in meno.
In voti assoluti equivalgono a circa 177.000 votanti che non sono andati a votare a queste elezioni regionali rispetto alle politiche del 4 marzo 2018.
Questo il dato particolare sardo in un contesto comunque che generalmente segna minor affluenza alle elezioni regionali rispetto alle elezioni politiche.
È largamente prevedibile che questo fatto di 177.000 votanti che sono andati a votare alle politiche, ma che, a distanza di neanche un anno, non lo hanno fatto alle regionali, abbia penalizzato sopratutto il M5S.
Indubbiamente il pathos delle elezioni politiche è molto diverso dalle elezioni regionali e non ha la stessa spinta emotiva.
Inoltre gli interessi in gioco sono molto diversi.
In quelle politiche sono in gioco interessi generali che riguardano la vita delle persone in questioni di fondo come possono essere per esempio il reddito, le pensioni, la precarietà, la moralità nella vita politica, ecc.
In quelle regionali pesano argomenti locali specifici, per i quali è necessario conoscere in particolare i veri portatori di interessi legittimi, e diventa quindi fondamentale il presidio del territorio fatto per tempo da interlocutori che il territorio riconosce.
La forza politica che non è radicata nel territorio è svantaggiata.
Il M5S aveva candidati che non sono radicati nel territorio, essendo che nella stragrande maggioranza non sono mai stati candidati prima né come consiglieri regionali né in altre cariche pubbliche.
Il M5S si presentava per la prima volta alle elezioni regionali in Sardegna, e con candidati alla prima esperienza politica e senza alcun seguito personale.
Anche la Lega era alla sua prima esperienza alle elezioni regionali sarde, ma ha scelto come candidati persone con esperienza alle spalle e con all’attivo un prevedibile e importante seguito personale.
Ma sopratutto le altre forze politiche di centrodestra e centrosinistra, hanno presentato personale politico ‘navigato’ con forte seguito personale di tipo clientelare.
I candidati sardi erano un esercito: 1440. Essi rappresentavano lo 0,1% degli aventi diritto al voto e quasi lo 0,2 per cento di coloro che si sono recati a votare.
Le liste erano 24. Le liste collegate del centro destra sono ben 11, quelle del centrosinistra 9. Le restanti 4 facevano capo a candidati indipendenti.
La sproporzione di candidati tra M5S e i principali competitori era drammaticamente impressionante.
Il centrodestra aveva 660 (11×60) candidati contro i 60 del M5S: 11 volte.
Il centrosinistra aveva 540 (9×60), 9 volte tanto rispetto al M5S.
Nelle politiche sono possibili le coalizioni ma ogni forza politica corre per sé.
Il rapporto nelle politiche è di 1/2/3 a uno, ma non 9 a uno o addirittura 11 a uno come nelle regionali.
Resta poi da mettere in rilievo la caratteristica dei candidati presidenti.
Il candidato presidente dei 5Stelle era una persona alla sua prima, in assoluto, esperienza politica: non ha mai prima ricoperto neanche la carica di consigliere comunale nel suo piccolo comune di residenza.
Era quindi totalmente sconosciuto alla stessa base dei 5 Stelle sardi. É stato scelto a poche settimane dal voto con nuove votazioni primarie sulla piattaforma Rousseau, poiché il primo candidato aveva rinunciato in quanto, da sindaco di un comune nell’entroterra cagliaritano, è stato condannato a un anno in primo grado per abuso di atti d’ufficio, la più comune delle accuse che coinvolge la maggior parte dei sindaci nell’esercizio del loro mandato.
Quanto detto sinora riguarda l’analisi del contesto locale.
Sull’esito delle elezioni sarde non c’è dubbio che abbia avuto un peso, seppur non preponderante, il clima politico nazionale.
Esso ha sicuramente contribuito all’affermazione del centro destra, a traino di Salvini.
Infatti Salvini è fortemente sostenuto, anche quando apparentemente può apparire osteggiato, dal media mainstream italiano, dai giornali, alle TV, alle radio, alla carta stampata, in funzione anti 5 Stelle, e segnatamente anti Di Maio. Il media mainstream rappresenta Salvini come il partner forte del contratto di governo 5S-Lega mentre Di Maio viene rappresentato come quello debole.
Si tenta di sminuire in ogni modo il suo ruolo, e viene letteralmente oscurato o minimizzato che 8 su 10 provvedimenti del Governo Conte siano stati approvati su proposta del M5S.
Ma Salvini, con il vento in poppa provocato dal media mainstream, ha tirato la volata al candidato presidente – definito non a caso ‘invisibile’ – e alla coalizione di centro destra, che già di suo era fortissima sul piano del consenso con 11 liste e 660 candidati, in gran parte pesanti portatori di voti di provenienza clientelare.
Mentre il candidato del M5S, a parte le debolezze indicate prima, non ha potuto godere di un forte traino dal vento nazionale, in quanto, viceversa rispetto a Salvini, Di Maio e tutto il M5S ha il vento contrario, artificialmente creato dall’oligopolio mediatico nazionale, composto da Berlusconi, Cairo, De Benedetti, Caltagirone e la RAI, ancora in gran parte controllata dal PD renziano.
La resistenza del PD, invece, è tutta di marca locale, godendo in primo luogo dell’apprezzamento riconosciuto al sindaco di Cagliari, indicato come candidato presidente, che infatti ha preso più voti della coalizione di centro sinistra che guidava.
In secondo luogo il PD e la sua coalizione si è giovato del consenso clientelare derivante dalla gestione del potere della precedente giunta regionale, del comune di Cagliari, la città che con l’hinterland controlla non meno di un terzo della popolazione delle Sardegna, e di svariate amministrazioni comunali.
È da ritenere che il principale errore che ha fatto il M5S sia stato quello di aver sottovalutato l’esito delle elezioni in Friuli, derubricandolo a fatto eminentemente locale, mentre era una spia di una tendenza che si sarebbe confermata in Abruzzo e poi anche in Sardegna.
Questa tendenza ha come origine certamente quanto indicato prima a proposito del ruolo di feroce opposizione anti 5S che svolge l’oligopolio mediatico nazionale.
Ma a questo si aggiunge la debolezza strutturale dell’organizzazione locale dei 5Stelle, la conseguente debolezza nel rappresentare gli interessi particolaristici ma legittimi del territorio, le regole interne al M5S che impediscono di federare con sé istanze particolari di ambito localistico, che si possono esprimere con liste civiche o tematiche che dir si voglia.
Queste debolezze o particolarità sono di non minore rilevanza rispetto all’assalto mediatico anti 5Stelle.
Anzi va data una importanza superiore non fosse altro per la concreta possibilità che si ha di incidere su di esse per eliminarne o almeno limitarne l’impatto negativo e magari col tempo farne un’opportunità di sviluppo.
A differenza della guerra mediatica, di cui – almeno per ora – ci si può solo lamentare, su queste si può lavorare di buona lena e ottenere nel tempo buoni risultati.
Sono in linea di massima d’accordo con questo pacato ragionamento, ma resto perplesso su due punti.
Il feroce attacco mediatico mi sembra fosse presente anche prima delle politiche, che pure hanno visto una grande affermazione dei 5 stelle.
La mancata candidatura del sindaco condannato in primo grado (quindi da ritenersi innocente) per un’accusa che prima o poi tocca a tutti gli amministratori (presumo dunque a prescindere dall’onestà personale) è una scelta di principio dei 5 stelle che
ha senso solo se si considerano tutti gli amministratori della cosa pubblica disonesti e clientelari. E i propri?
Man mano che aumentano gli amministratori 5 stelle, aumentano i distinguo (come per me è giusto che sia) ma questo forse crea perplessità in molti potenziali elettori. La corruzione è un male intollerabile se eretto a sistema, e ben venga l’alternanza al potere per evitare incrostazioni dannose.
Ma c’è bisogno poi di azioni politiche concrete, ed è su quelle che gli elettori si muovono.
Peggio x loro
Il divario fra regionali e politiche può essere, in parte, imputato al voto degli italiani all’estero. Un altro fattore importante è la scelta dei 5 Stelle di correre da soli. Verissimo che la conoscenza dall’interno del territorio è importante, nel caso della Sardegna direi fondamentale.
Analisi divertente. Non tiene conto dei flussi elettorali. La colpa è dei media e dell’astensione. Solo gli ex elettori 5 stelle non sono andati a votare… ma se lo hanno fatto, se fosse vero questo alibi non sarebbe il caso di domandarsi il perché senza cercare motivi esterni al movimento? È vero che M5S gode di cattiva stampa (compresa quella, poca, che lo appoggia: vedo alla voce Fatto Quotidiano) ma ha molto attivismo in rete. Che però non si traduce in presenza sul territorio. La Lega ha creato una base forte con anni di governo sul territorio prima di arrivare sul palcoscenico nazionale. M5S ha fatto il contrario. E ne sta pagando le conseguenze in termini di impreparazione. Non basta il web. Non basta Rousseau. E mio modo di vedere serve anche la presenza fisica sul territori ed invece si punta sempre e solo a quella mediatica. E se poi i risultati non arrivano è solo colpa dei media….