Analisi spietata sui risultati delle ultime elezioni regionali in Sardegna

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I risultati delle ultime elezioni regionali in Sardegna ci stimolano a fare la fatica di uno sforzo di comprensione più impegnativo, rifuggendo da ogni superficialità.

Il numero di partitini usa e getta in Sardegna era debordante: le liste collegate al candidato presidente di centro-destra erano 11, quelle collegate a quello di centro-sinistra erano 9.

Questo fatto, presente in ciascuna delle due coalizioni, produce l’effetto di avere un enorme numero di candidati alla ricerca di voti personali.

Sempre in Sardegna si trattava di un esercito di 1540 candidati, oltre lo 0’1%, di tutti gli aventi diritti al voto, tra centro-destra, centro-sinistra e indipendenti (provenienti dalle loro fila ma in cerca di luce propria) contro 60 dei 5Stelle.

I partiti, evidentemente poveri di argomenti di carattere politico, culturale, sociale, economico, spingono, tramite continue riforme delle regole per le elezioni, a scegliere un terreno di competizione personalistico, con un individualismo esasperato.

Esso è basato solamente sulla capacità – pre-politica – del singolo candidato di creare consenso su di lui, non sulla forza politica con cui è candidato.

I suoi voti, in altre parole, potrebbero essere gli stessi indipendentemente dal simbolo della forza politica con cui si presenta.

Anzi potrebbe andare da qualsiasi partito a contrattare il suo ingresso in lista facendo brutalmente questo discorso: ‘io ho un pacchetto di tot migliaia di voti, cosa ne ricevo in cambio se mi candido con te?’

Se gli si chiedesse: ‘come fai a dimostrarmi che ne hai tot?’ Lui risponderebbe: ‘ecco il numero di voti che ho preso quando, per esempio, ero consigliere comunale, sindaco, consigliere regionale, ecc.’ Risponderebbe cioè in maniera convincente con dati alla mano, sottolineando che: ‘QUEI VOTI SONO MIEI’.

Nelle ultime elezioni regionali gli slogan politici di carattere locale erano praticamente assenti.

La persuasione dell’elettore era giocata tutta sulla capacità del singolo candidato di rappresentare l’interesse particolare e individualistico del singolo elettore o di un piccolo gruppo di elettori, per esempio, una famiglia allargata, una cooperativa, una Onlus, ecc.

Il candidato di centro-destra o di centro-sinistra potrebbe aver fatto al suo interlocutore, per citare un esempio del tipo di persuasione, questo discorso: “io non posso risolvere il problema regionale della disoccupazione, ma posso risolvere il TUO PROBLEMA DI TROVARE UN LAVORO PER TE O PER UN TUO PARENTE. Fregatene degli altri, pensa a te stesso. La cosa importante è risolvere il tuo problema personale. Tu impegnati con me a votarmi e a farmi votare dalla tua famiglia e dai tuoi amici e io mi impegno, se sarò eletto, a risolvere il tuo problema. Più voti mi procurerai, più sarò forte e quindi più sarò in grado di mantenere l’impegno con te nel risolvere il tuo problema”.

In questo discorso è completamente assente qualsiasi accenno di una motivazione che abbia una parvenza politica.

Si tratta di un patto ‘do ut des’: io ti prometto una cosa, ma tu in cambio dammene un’altra.

Questo modo di far politica è difficile renderlo credibile alle elezioni politiche nazionali o anche a quelle europee. Il governo nazionale è percepito distante: difficilmente è credibile un candidato deputato/senatore che promette cose particolari.

I collegi elettorali sono troppo grandi per fare discorsi individualistici che possano esser persuasivi ed efficaci sul piano dei risultati.
Mentre in piccoli collegi elettorali gli interessi possono essere molto circoscritti e individuati con precisione: per esempio riuscire a farsi assumere da tale azienda, da tale ente pubblico, riuscire ad avere il tale incarico professionale, riuscire a entrare in quel giro di affari importante.

Il candidato esperto sa far venire l’acquolina in bocca al suo target, il potenziale elettore, e poiché l’appetito è tanto, ovvero i bisogni della gente sono tanti e pressanti, il gioco è fatto.

Tanto più efficace il patto, in questo tipo di competizioni elettorali locali, poiché è tra persone che si conoscono. Si tratta di un rapporto personale di fiducia reciproca.

Una parte notevole di italiani, per mentalità, per cultura, per formazione politica, considera questo patto perfettamente lecito e non ha il minimo dubbio che lo sia.

Invece è vietato dalla legge in quanto RIENTRA NELLA FATTISPECIE DEL REATO DI VOTO DI SCAMBIO.

Essendo questo il terreno di gioco della disfida elettorale regionale, la partita del M5S era persa in partenza. La lotta tra un gruppo di 60 ragazzi alle prime armi – senza alcuna esperienza politica, senza un centesimo da spendere per la campagna elettorale, sconosciuti, alieni, anzi in lotta, alla mentalità del voto di scambio – e un esercito di 1540 soldati per mestiere, addestrati, preparati da tante battaglie sul campo, ottimamente equipaggiati, con una retrovia imponente, non poteva avere un esito diverso da quello che è stato: sterminarti e decimati. Ne sono sono sopravvissuti 6!

Su 60, solo 6 sono diventati consiglieri regionali: appunto 1 su 10.

Che fare in questa situazione?

Ci tornerò presto con un altro post.

3 COMMENTS

  1. Concordo pienamente con il Suo giudizio, quanto mancano alla politica italiana personalità come Fanvani, Moro, Berlinguer e Almirante, che pur con grandi differenze di pensiero, avevano una coltura politica non alla portata di tutti quelli che ora siedono nel nostro parlamento. Ma purtroppo è la cultura politica attuale, che si pensa all’amor proprio e non a quello della nazione.

  2. Concordo, e aggiungo che soprattutto nei piccoli centri si votano i candidati di paese perché si spera facciano l’interesse del territorio, i professionisti (uomini) della politica si sono fatti affiancare da donne porta voti in tutti i centri sfruttando la doppia preferenza di genere a loro favore.

  3. Sappiamo come funziona il sistema clientelare e le tristi strategie usate ai danni dei disperati ma mi chiedo: Nessuno parla dell’ antidemocratica legge elettorale?

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