“Prima che il Ponte Morandi crollasse lo scorso anno, causando la morte di 43 persone, un professore di Economia, Marco Ponti, sollevò due preoccupazioni fondamentali nei confronti della società privata che gestiva la struttura. La prima riguardava gli enormi profitti di Autostrade per l’Italia, che aveva in concessione il viadotto e 4.000 miglia di strade a pedaggio. L’altra riguardava lo sbilanciamento di potere che c’era tra Autostrade e il Governo italiano. Ponti, che lavorava in un gruppo di tecnici che collaborava con il Governo, ha affermato di ritenere che lo Stato abbia fatto ben poco per monitorare l’operato della società Autostrade”.
È quanto si legge in un articolo del New York Times a firma di David Segal e Gaia Pianigiani tradotto e rilanciato dal Blog delle Stelle.
“I Benetton,” scrivono i due giornalisti “la famiglia italiana famosa per essere colosso mondiale dell’abbigliamento, controllavano Autostrade. Ponti fu costretto a dimettersi e in seguito fu minacciato dai Benetton con una causa multimilionaria. Il crollo del ponte di Genova è ora oggetto di un’inchiesta penale, con 21 persone indagate, tra cui nove impiegati di Autostrade e tre funzionari del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Le autorità stanno esaminando anni di scambi di email e documenti e il contenuto di alcuni cellulari, per cercare di determinare le responsabilità”.
“Ma al di là della possibile negligenza di Autostrade, il caso ha rivelato anche un’altro fatto: il fallimento dello Stato nella gestione della privatizzazione delle strade a pedaggio. Autostrade ha accumulato enormi profitti, acquisendo talmente tanto potere da far sì che lo Stato diventasse un soggetto totalmente passivo, pur essendone il regolatore” prosegue l’articolo “Sebbene non sia dimostrato che i risultati delle ispezioni sul ponte siano stati manipolati, la società si è nei fatti autoregolata: la compagnia responsabile dei controlli sul ponte Morandi, in effetti, era di proprietà della società madre di Autostrade”.