Antonio Maria Rinaldi e Fabio Dragoni hanno pubblicato un articolo per il sito scenarieconomici.it dove spiegano e provano a prevedere gli effetti dell’ultima politica economica deliberata dal consiglio direttivo della BCE, uno degli ultimi presieduti da Mario Draghi.
La manovra consiste in una nuova serie di operazioni di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO III), interventi finalizzati a immettere nel sistema del denaro che dovrà poi essere utilizzato per migliorare l’erogazione di prestiti bancari a favore del settore privato non finanziario dell’area dell’euro, da attuarsi con cadenza trimestrale a partire da settembre 2019 fino a marzo 2021, tutte con scadenza biennale.
“Non essendo le prime né probabilmente le ultime operazioni del genere (iniziate nel 2014 e proseguite fra il 2016 ed il 2017 per oltre 700 miliardi) il giudizio da dare loro in merito alla loro utilità, tenuto conto che l’obiettivo dichiarato è quello di rifornire a costo zero le banche della liquidità necessaria per alimentare i prestiti all’economia reale, il responso è inequivocabile. Fra il novembre 2015 ed il gennaio 2019 i crediti a favore di famiglie ed imprese italiane sono scesi da oltre 1.420 miliardi a circa 1.300.”
“Quindi i TLTRO sono serviti essenzialmente a poco e che fossero destinati a fallire era del resto più che prevedibile. Più della liquidità alle banche oggi servono tre cose che Francoforte non potrà mai dare:
-Il patrimonio per fronteggiare i rischi di credito derivanti da perdite attese ed inattese.
-Una domanda di prestiti da parte del settore privato cui rispondere.
-Soprattutto la ragionevole aspettativa che il credito erogato possa essere restituito”.
“L’Italia ha perso il 20% della propria produzione industriale rispetto al 2008. Ha oltre 5 milioni di cittadini in condizione di assoluta povertà e quasi 6 milioni di disoccupati (considerando in tale cifra pure chi non cercando un impiego qualora lo trovasse lavorerebbe). Il suo PIL reale nei primi 20 anni di moneta unica è cresciuto complessivamente del 4% quando negli anni ‘60 e ‘70 lo stesso valore era mediamente pari al 5% annuo per poi scendere ad un comunque eccellente 2% annuo. Non sembra proprio il contesto ideale per fare banca.”
«La realizzazione a tappe forzate dell’unione bancaria con la miope applicazione della BRRD (Normativa europea sulla risoluzione delle crisi bancarie) in base alla quale le perdite della banca vengono trasferite dapprima agli azionisti e successivamente alle altre categorie di creditori della banca, mediante riduzione o conversione in capitale di diritti degli azionisti o dei creditori, con esclusione tuttavia di alcune categorie di depositi e passività. Unita a una scellerata imposizione di ricette per lo smaltimento delle sofferenze, le cosiddette NPL (Crediti deteriorati), attraverso cessioni obbligate ha quindi assestato il colpo di grazia alla salute delle nostre banche. Le cessione di crediti che “hanno principalmente riguardato posizioni in sofferenza, si sono pesantemente riflesse, sui conti economici delle banche. Il costo di queste dismissioni avrebbe potuto essere ben inferiore se fosse stata consentita dalla Commissione europea la tempestiva costituzione di una società di gestione dei crediti deteriorati supportata dallo Stato (cosiddetta Asset Management Company di sistema), similmente a quanto avvenuto in altri paesi europei prima del 2013”. Ma così non è stato, e questa riportata in virgolette è l’amara constatazione del Capo Vigilanza in Banca d’Italia Carmelo Barbagallo che chiude la sua analisi in maniera ancor più cupa: “Più in generale, il ‘rialzo dell’asticella’ dei coefficienti patrimoniali e la forte pressione del supervisore a ridurre i rischi – di credito e di liquidità – potrebbero generare una modifica strutturale del modello di business delle banche, sempre meno stimolate ad erogare crediti e sempre più indotte a privilegiare ricavi commissionali, nella difficile ricerca di una adeguata remunerazione del capitale”».
“Ripetere continuamente la stessa cosa, inondando le banche di liquidità aspettandosi risultati diversi dal passato, come ad esempio la ripresa del credito, appare quanto meno folle se si tiene conto che oggi le banche italiane hanno già oltre 70 miliardi di riserve in eccesso rispetto al minimo regolamentare depositato in BCE. Nel momento più critico del credit crunch del 2008 erano appena 43 milioni. Durante la crisi del debito sovrano del 2011 erano poco meno di 90 milioni.”
«Le politiche fiscali restrittive imposte dalla Commissione UE finiscono infine per sotterrare ogni possibile speranza di recupero. Vi sono infatti strade diverse per aumentare la spesa totale cioè la “crescita economica”. La prima compete normalmente ad un Governo ed è quella di spendere a deficit. L’altra compete alle banche e consiste nel concedere prestiti. Per le famiglie e le imprese, il deficit del bilancio pubblico –nonostante l’assurda cattiva reputazione– è decisamente preferibile poiché mette denaro nelle tasche dei privati contribuendo quindi ad aumentare “ricchezza finanziaria netta” al contrario del debito bancario per definizione “risorse non proprie e non gratuite”. Sostituire il debito privato con reddito non appare mai una buona idea come testimonia del resto la grave crisi dei mutui sub prime, la crisi scoppiata negli USA nel 2006 che ha avuto effetti devastanti nel mondo occidentale. Detto in altri termini la moneta è come una corda: serve a tirare e non a spingere. E’ il grande limite della politica monetaria. Innalzando i tassi di interesse l’economia può essere raffreddata mentre non vale necessariamente il contrario per il semplice motivo che se le condizioni del ciclo economico sono tali per cui la moneta immessa non verrà poi spesa l’economia non ripartirà.»
“Ma essendo Draghi uomo accorto, viene da pensare che se fa una cosa che non serve a nulla dovrà necessariamente servire a qualcos’altro. Ed oltre che dare alle banche i fondi necessari a rimborsare i precedenti TLTRO del 2016 e del 2017, questo qualcos’altro altro non è che alimentare la domanda di titoli di stato proprio ora che la BCE ha dovuto politicamente abbandonare il quantitative easing”, modalità non convenzionale con cui una banca centrale interviene sul sistema finanziario ed economico di uno stato, per aumentare la moneta in circolazione, le cui fasi sono:
-l’emissione di nuova moneta da parte della banca centrale di riferimento (la BCE nel caso europeo);
-l’immissione della nuova moneta sul mercato tramite l’acquisto di titoli (titoli di stato, titoli finanziari, titoli tossici);
-il conseguente aumento del prezzo dei titoli e riduzione del loro rendimento;
-nei casi in cui il rendimento dei titoli pubblici sia agganciato a quello dei tassi d’interesse bancari questo produce un abbattimento degli interessi bancari che in ultima istanza permette la riduzione nel medio periodo dei mutui, dei debiti delle famiglie verso le banche e di altri tipi di scoperto finanziario.
“Fra un paio d’anni scriveremo quindi che le banche sono imbottite di titoli sovrani che dovranno necessariamente essere venduti alla BCE che per l’occasione sarà costretta ad inaugurare un nuovo quantitative easing così iniettando nelle banche i fondi con cui rimborsare il TLTRO e nel contempo puntellando il loro bilancio con le agognate plusvalenze. A meno che nel frattempo succeda qualcosa sui mercati finanziari per il quale saremo costretti a vedere un altro film girato però da un altro regista.”