Franco CFA, come il regime di cambio fisso ostacola lo sviluppo dell’Africa subsahariana

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Franco CFA è l’acronimo di Franco della Comunità Finanziaria Africana. Franco Cfa è il nome di 2 valute utilizzate da 14 paesi Africani.

Di questi paesi adottanti il Franco CFA una parte è riunita nell’Unione economica e monetaria ovest-africana (UEMOA) e la restante parte è riunita nella Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC).

Gli accordi che vincolano i due istituti centrali con le autorità francesi sono identici e prevedono le seguenti clausole:
un tipo di cambio fissato alla divisa europea, la piena convertibilità delle valute con l’euro garantita dal Tesoro francese, il fondo comune di riserva di moneta estera a cui partecipano tutti i paesi del CFA (almeno il 65% delle posizioni in riserva depositate presso il Tesoro francese, a garanzia del cambio monetario).
In contropartita alla convertibilità era prevista la partecipazione delle autorità francesi nella definizione della politica monetaria della zona CFA.
Il franco CFA ha in linea di massima sempre mantenuto la parità rispetto al franco francese, salvo in casi particolari.

Dopo l’introduzione dell’euro, il valore del franco CFA è stato agganciato alla nuova valuta ma è comunque la Banca di Francia e non la Banca centrale europea che continua a garantire la convertibilità del franco CFA.

Thomas Fazi si sta occupando di tradurre “L’arme invisible de la Françafrique” di Fanny PIGEAUD e Ndongo Samba SYLLA.
A seguire riportiamo una parte del libro da lui tradotta riguardante i risvolti del tasso di cambio fisso del Franco CFA sullo sviluppo delle economie africane adottanti questa valuta:

«Secondo i sostenitori del franco CFA, un regime di cambio fisso permette di importare “credibilità”, di combattere efficacemente l’inflazione, vale a dire un aumento permanente dei prezzi, e di facilitare gli scambi. C’è del vero in questo. Ma i costi economici di un tale sistema sono spesso trascurati. È assodato che un regime di cambio fisso determina tendenzialmente un livello di inflazione poco elevato. Viceversa, un regime di cambio flessibile provoca un po più di inflazione, ma favorisce una maggiore stabilità dell’attività economica: ha una funzione di ammortizzazione che rende possibile reagire agli shock e ridurre significativamente la volatilità (le variazioni) della produzione e dell’occupazione, cosa che invece non consente un regime di cambio fisso18

Le statistiche dell’FMI sembrano suggerire che un tasso di cambio fisso non sia necessariamente una buona opzione per i paesi africani: dal 2000, i paesi dell’Africa subsahariana che operano in un regime di cambio fisso hanno registrato una crescita economica dall’1 ai 2 punti inferiore rispetto ai paesi con un tasso di cambio flessibile. Questo scarto è dovuto in particolare «alla minore crescita dei paesi membri della zona del franco», afferma il Fondo Monetario

«Se un piccolo paese fissa unilateralmente la propria valuta a un vicino più grande, in realtà sta trasferendo la propria sovranità in termini di politica economica a quel vicino più grande», disse il vincitore del premio Nobel Robert Mundell.

«Questo paese perde la propria sovranità perché non controlla più il proprio destino monetario; il paese più grande, invece, guadagna sovranità perché gestisce un’area valutaria più ampia e guadagna un maggiore “peso” nel sistema monetario internazionale». Nel caso della zona del franco, questa realtà significa che alcuni dei paesi più poveri del mondo, come il Niger e la Repubblica Centrafricana, hanno subìto delle politiche monetarie basate sulle esigenze dell’economia francese prima e della zona euro poi. Significa anche che i quindici paesi membri della zona del franco, presi individualmente, non hanno la possibilità di utilizzare il tasso di cambio per ammortizzare gli shock.
E questo in un continente in cui gli shock – politici (colpi di Stato, guerre, tensioni sociali, ecc.), climatici (variazioni pluviometriche, siccità, inondazioni, ecc.) ed economici (volatilità dei prezzi dei prodotti primari, dei tassi di interesse del debito estero, dei flussi di capitale, ecc.) – sono all’ordine del giorno. Per far fronte a degli shock avversi, dunque, i paesi del franco hanno un’unica soluzione, in assenza di trasferimenti di bilancio: la “svalutazione interna”, cioè un adeguamento dei prezzi interni che passa per riduzione dei redditi da lavoro e della spesa pubblica, l’aumento delle imposte e infine il declino dell’attività economica».

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