“Stiamo lavorando su vaccini polivalenti” ha detto Andrea Carfì, capo della ricerca per le malattie infettive dell’americana Moderna, la multinazionale specializzata nella tecnologia dell’Rna messaggero, in un’intervista al Corriere della Sera.
Il primo antidoto creato è stato l’anti-Covid autorizzato negli Stati Uniti a fine dicembre, e attualmente la variante che maggiormente preoccupa è “quella identificata per la prima volta in Sudafrica (B.1.351). Si è visto in studi di laboratorio che il nostro preparato risponde cinque-sei volte meno rispetto a quanto non faccia contro il virus originale, il Wuhan, o la variante identificata inizialmente in Inghilterra (B.1.17). Stiamo sperimentando sull’uomo due nuove versioni del vaccino: la prima contiene la sequenza della variante del Sudafrica, la seconda è la combinazione di una sequenza genetica del virus mutato e dell’originale. Si punta a trovare formule multivalenti come per l’antinfluenzale. Una dose contro quattro virus”.
Con le tecnologie tradizionali non sarebbe stato possibile “così velocemente” perché per “queste versioni modificate siamo riusciti ad avviare i test clinici ad appena 30-35 giorni dall’analisi dei dati che dimostravano quanto il virus identificato in Sudafrica fosse capace di diminuire di almeno cinque volte gli anticorpi neutralizzanti. Insomma ci teniamo pronti” ha fatto sapere.
Sulla pericolosità della variante indiana, si saprà qualcosa “la prossima settimana dopo aver raccolto i dati. Noi monitoriamo costantemente e tentiamo di capire in base ai cambiamenti di piccole parti del virus le versioni più pericolose che subito vengono testate in laboratorio. La variante indiana preoccupa un po’ perché combina due mutazioni già viste in altre varianti” ha detto Carfì.
Alla domanda se i ricercatori avevano previsto che le difese degli anticorpi con il passare dei mesi sarebbero scadute, l’esperto ha risposto che “non è una novità” infatti “succede anche con altri vaccini, come l’anti-influenzale. Altri studi clinici sono in corso. Stiamo per esempio valutando dosaggi più bassi. Anziché 100 microgrammi a inoculazione, come è adesso, si potrebbe scendere a 50 o 20 microgrammi se saranno sufficienti per dare una risposta immunitaria paragonabile a quelle attualmente utilizzate”.