Giuseppe De Donno, la procura di Mantova apre un’inchiesta sulla morte

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La procura di Mantova ha formalmente aperto un’inchiesta sulla morte dell’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma, Giuseppe De Donno, trovato morto impiccato martedì dai familiari nella sua casa di Eremo di Curtatone.

La procura vuole vederci chiaro sulle riguardanti circostanze del suicidio e del ritrovamento del corpo: saranno quindi fatti accertamenti per escludere che siano stati motivi ‘esterni’ ad indurre l’ex primario al suicidio.

De Donno, 54 anni, aveva avviato lo scorso anno la sperimentazione della terapia con il plasma contro il covid.

Come riportato dalla Gazzetta di Mantova, lo specialista «dal 5 luglio aveva cambiato vita: da primario ospedaliero a medico di medicina generale a Porto Mantovano. Una scelta sofferta, ma frutto di una lunga riflessione: voleva stare a contatto con il territorio e seguire i suoi pazienti uno a uno, forse con meno stress rispetto a quanto fatto in ospedale. “L’esperienza del Covid mi ha cambiato – aveva confessato durante la diretta Facebook ringraziando il direttore generale dell’Asst Raffaello Stradoni – e da oggi cambio vita”».

«Sono stanco – aveva confidato agli amici – stanco dei troppi attacchi che ho subito, stanco che ancora oggi che sono uscito dall’ospedale continuo a ricevere, anche da parte di colleghi».

Uno dei suoi più cari amici, Roberto Mari, presidente del consiglio comunale di Porto Mantovano – ha raccontato che sapevano che De Donno «aveva attraversato un momento difficile nei lunghi mesi di lotta al Covid, ma sembrava aver trovato nuovo slancio nella sua nuova professione. Di lui posso dire che ho avuto a che fare con un medico che ha creduto fermamente nella cura del prossimo, tanto che ha sempre visitato tanta gente anche senza farsi pagare. Ci teneva al rapporto con il paziente».

Cos’è la terapia iperimmune

Come spiegato dal Ministero della Salute, «la terapia con plasma da convalescenti prevede il prelievo del plasma da persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione (dopo una serie di test di laboratorio, anche per quantizzare i livelli di anticorpi “neutralizzanti”, e procedure volte a garantirne il più elevato livello di sicurezza per il ricevente) a pazienti affetti da COVID-19 come mezzo per trasferire questi anticorpi anti-SARS-Cov-2, sviluppati dai pazienti guariti, a quelli con infezione in atto».

«Gli anticorpi (immunoglobuline) sono proteine coinvolte nella risposta immunitaria che vengono prodotte dai linfociti B in risposta ad una infezione e ‘aiutano’ il paziente a combattere l’agente patogeno (ad esempio un virus) andandosi a legare ad esso e “neutralizzandolo”. Tale meccanismo d’azione si pensa possa essere efficace nei confronti del SARS-COV-2, favorendo il miglioramento delle condizioni cliniche e la guarigione dei pazienti», si legge sul sito del Ministero.

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