In un’intervista al ‘Messaggero’, il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, ha parlato tra le altre cose anche del reddito di cittadinanza, spiegando che se questa misura «ha un problema, riguarda i centri per l’impiego e non il reddito stesso».
Secondo Tridico «bisognerebbe concentrarsi su quelli e sui meccanismi che già esistono all’interno dello strumento, come la formazione e l’inclusione sociale, i Puc gestiti dai Comuni che andrebbero rafforzati».
«Noi oggi» – ha proseguito il numero uno dell’INPS – «abbiamo quasi due milioni di beneficiari di Naspi, che dovrebbero essere il primo bacino in cui un datore di lavoro cerca. Il reddito di cittadinanza invece è un trattamento minimo, che diamo ai lavoratori che non raggiungono una certa soglia di reddito, ma anche a disabili, pensionati, ragazzi sotto i 18 anni. Per i due terzi sono persone che per definizione non possono lavorare. Per il restante terzo, una parte riceve un’integrazione al reddito di lavoro, altri non risultano nei nostri archivi e quindi non hanno mai lavorato: erano ai margini della società. Il valore medio è di 550 euro al mese per nucleo familiare, che non rappresenta certo uno spiazzamento rispetto al mercato del lavoro».
Alla domanda sul perché esercenti e albergatori si lamentino di non trovare mano d’opera, Tridico ha risposto: «Ai lavoratori stagionali, con le varie tranches, sono stati dati in tutto 8.600 euro di bonus a condizione di essere disoccupati. Semmai è stato questo sussidio che può aver scoraggiato il lavoro».
Quanto al salario minimo, Tridico ha detto che «è uno degli strumenti che manca in Italia, per non aggravare gli squilibri in un Paese in cui c’è una componente di contrattazione non rappresentativa, che punta al dumping salariale. Un importo tra 8 e 9 euro lordi l’ora, in linea con le indicazioni della commissione europea, includerebbe tra il 15 e il 26 per cento dei lavoratori. Si sposterebbero 4-5 miliardi di euro sul salario aumentando anche il gettito fiscale per lo Stato».