Reddito di cittadinanza, la storia di Emanuela: ‘Ero cameriera in hotel, ma con la schiena non riesco più. Divano? Sono sempre in giro per trovare lavoro’

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“Se mi danno un lavoro con uno stipendio più alto del reddito di cittadinanza, io mollo il reddito perché magari c’è una persona che ne ha più bisogno di me. Però mi devono dare un lavoro sicuro e in regola, se mi prendi che non mi metti in regola io non lo mollo”.

Lo ha raccontato Emanuela, 55enne che vive a Sesto San Giovanni.

Da due anni vive grazie al reddito di cittadinanza dopo aver lavorato a lungo come cameriera ai piani negli alberghi milanesi, ma poi “ho dovuto dire basta perché non ce la facevo più con la schiena” ha spiegato.

La donna, troppo giovane per andare in pensione e impossibilitata a svolgere il lavoro di prima a causa del dolore fisico ha fatto richiesta del reddito e “vivo con quello” così “riesco ad arrivare al 18-19 del mese, ma tirando la cinghia”. Una volta a settimana ha i colloqui con i servizi sociali. “Ieri mi hanno richiamato in un hotel, ma con la mia schiena non posso”.

E quando sente un politico attaccare il reddito di cittadinanza risponde così: “Renzi dice che stiamo sul divano? Noi giriamo per cercare lavoro, mentre lui sta seduto sulla poltrona”.

E quando le viene chiesto che cosa farebbe se non ci fosse più il reddito di cittadinanza, risponde: “non lo so”.

“L’importante è che io abbia quei 500 euro al mese ogni mese. Se aumentano, ben vengano. Se trovo un lavoro migliore vado”.

La testimonianza: ‘Ero costretto ad accettare di tutto, spesso in nero. Grazie al reddito di cittadinanza sono uscito dal ricatto e ho un lavoro regolare’

“Prima di prendere il reddito, ero costretto ad accettare qualsiasi lavoro anche in nero o pagato male. Ma il reddito di cittadinanza mi ha permesso di uscire da questo ricatto. Mi sono ripreso la mia dignità”.

Lo ha detto al ‘Fatto Quotidiano’, Massimo, 58 anni che vive a Bergamo e dopo aver lavorato a lungo in un’azienda del settore delle telecomunicazioni, nel 2004 è stato licenziato insieme alla moglie che lavorava con lui.

“Mi sono ritrovato a 40 anni e passa senza un lavoro e con due figli da mantenere” ha raccontato. “Lì ho capito cosa vuole dire la disperazione: non si tratta di non mandare i figli alla scuola di danza, ma di non sapere cosa mettere in tavola il giorno dopo o di avere paura ogni volta che suona il citofono dell’ingiunzione che potrebbe arrivare”.

Così ha conosciuto “l’arte dell’arrangiarsi” tra lavori in nero o pagati in modo “ridicolo”. “La frase che mi dicevano era sempre: ‘Fuori ho la fila, se non ti sta bene..”. L’ultimo lavoro è stato con un elettricista: “Facevo otto ore al giorno, ma in busta erano segnate soltanto quattro ore”.

Poi è scaduto il contratto ed è arrivato il reddito di cittadinanza: “È stata una boccata d’ossigeno, ma soprattutto mi ha permesso di non stare più al ricatto dei datori di lavoro”. E quando l’elettricista che lo aveva assunto lo ha richiamato offrendogli le stesse condizioni di prima, Massimo ha potuto chiedere e ottenere un contratto regolare, abbandonando così il reddito di cittadinanza.

“Addirittura lo stipendio era più basso di 40 euro rispetto al reddito, ma ho accettato ugualmente perché il mio scopo è lavorare e non percepire reddito stando a casa come dicono i politici in maniera ipocrita”. “Senza il reddito di cittadinanza, siamo costretti a subire tutto, non è metadone di stato ma civiltà” ha raccontato ancora Massimo.

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