L’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech, dopo pochi mesi, cala in tutte le fasce d’età, secondo un nuovo studio israeliano pubblicato sul New England Journal of Medicine.
“Israele è un punto di osservazione importante per lo studio sull’efficacia del vaccino Pfizer, perché da noi la vaccinazione di massa è iniziata a dicembre 2020 e la seconda dose del vaccino è stata somministrata a distanza di tre settimane dalla prima dose, quindi abbiamo potuto osservare più a lungo, rispetto ad altri Paesi, l’efficacia della doppia dose nel tempo” ha spiegato Amit Huppert, ricercatore in biostatistica alla facoltà di medicina dell’Università di Tel Aviv e coautore dello studio.
Nello studio, Huppert e colleghi hanno confrontato il tasso di infezione e il tasso di forma grave di Covid tra le persone che hanno completato il ciclo vaccinale nel gennaio 2021 e quelle che lo hanno completato due mesi dopo, in marzo: “Abbiamo trovato che, tra gli over 60, a luglio il tasso di infezioni in chi ha concluso il ciclo vaccinale a gennaio era il 160% rispetto a coloro che, in quella fascia d’età, avevano concluso il ciclo due mesi dopo” ha rivelato Huppert.
“Per le persone di età compresa tra 40 e 59 anni, invece, il tasso di infezioni era del 170 per cento più alto in chi si era vaccinato due mesi prima. Nella fascia da 16 a 39 anni, far passare due mesi in più dall’ultima vaccinazione dà un risultato simile: il tasso di infezione è il 160 per cento rispetto a coloro che si sono vaccinati dopo” ha aggiunto.
Questi dati confermano che l’immunità conferita dalla doppia dose del vaccino, in tutte le fasce d’età, è calata di molto a pochi mesi di distanza dall’ultima dose: “Siccome in giugno si è diffusa in Israele la variante Delta – analisi del genoma virale hanno mostrato che il 98 per cento delle positività in giugno sono attribuibili alla variante Delta – l’aumento dei tassi di infezione può avere due concause: il calo dell’efficacia del vaccino e l’alta infettività della variante Delta, che sappiamo avere un carico virale più alto e delle mutazioni capaci di eludere il sistema immunitario” ha sottolineato Huppert. “Ad oggi ancora non siamo in grado di distinguere con assoluta certezza il contributo specifico di ognuno di questi due fattori”.