«Una sentenza che restituisce giustizia alla mia assistita, per lei non essere creduta ha rappresentato una seconda ferita. Ora spera solo che questa vicenda possa dare alle donne la forza di denunciare, sempre, con coraggio, pur nel comprensibile timore di finire nel tritacarne mediatico come a volte può accadere».
Così ha dichiarato Luca Marchioni, il legale della giovane da cui sono partite le indagini della Squadra mobile della Questura di Sondrio che nel dicembre del 2014 portarono all’arresto di Domenico Spellecchia, 61 anni, ex primario del reparto di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Chiavenna, dove ha lavorato per 22 anni.
In primo grado era stato assolto con formula piena dall’accusa di aver abusato di 18 sue pazienti. Ora però la sentenza della Corte d’Appello di Milano ha stravolto completamente il pronunciamento del tribunale di Sondrio di giugno 2018. Il collegio tutto al femminile, presieduto da Valeria De Risi, lo ha condannato a sei anni di reclusione per violenza sessuale (il pubblico ministero ne aveva chiesti otto), all’interdizione dai pubblici uffici e alla sospensione dell’esercizio della professione medica. I provvedimenti scatteranno solo se anche il terzo grado di giudizio confermerà la condanna.
I giudici milanesi hanno deciso di riascoltare alcuni testimoni e chiedere una nuova consulenza sui filmati: per due mesi e mezzo i poliziotti, dopo la denuncia di una paziente che Spellecchia aveva in cura da sette anni, avevano ripreso tutto quello che accadeva nel suo ambulatorio all’ospedale di Chiavenna, trovando le prove, secondo l’accusa, di altri abusi sessuali consumati dal professionista. Diciotto le donne coinvolte nell’inchiesta, cinque si sono costituite parte civile.
«Nulla che non fosse ascrivibile a una normale visita ginecologica», ha sempre detto il medico, a cui la sentenza di primo grado aveva dato ragione, sottolineando, nelle motivazioni, come nelle immagini «in nessun caso si fosse assistito a gesti di ribellione, disagio, contrarietà e neppure stupore da parte delle presunte vittime, che mostravano atteggiamenti di serenità, agio, seguitando a parlare con il dottore e a ridere».
«Aspettiamo le motivazioni, ma il ricorso in Cassazione è scontato. Come ha reagito il mio assistito? Tramortito è il termine giusto. Aggiungo solo che alcune delle presunte vittime sono tutt’oggi sue pazienti», ha affermato Lino Terranova, legale del ginecologo.
«Continuo a lavorare, ho centinaia di pazienti, che mai per un istante hanno creduto al fango che mi è stato gettato addosso — ha detto al telefono —. Sono stati anni terribili, allontanato dal presidio dove ho fatto nascere più di ottomila bambini e ora l’incubo che ricomincia. Una condanna ingiusta che deriva dalla volontà di colpire e punire in maniera preconcetta».