Una parte dell’opinione pubblica è «manipolata da una martellante propaganda partigiana, è stata indotta a credere che esso si riduce a uno spreco di denaro elargito da politici corruttori a cittadini sfaccendati».
Così Domenico De Masi, sociologo e docente alla scuola politica del Movimento 5 Stelle, in un editoriale per TPI.
«Oggi, però, sotto le elezioni, il RdC ha superato il significato di semplice sussidio per diventare simbolo e spartiacque tra una concezione socialdemocratica del sistema sociale che punta sull’armonia attraverso il welfare solidale, e una concezione neoliberista che punta sulla concorrenza, stressando le disuguaglianze», spiega l’esperto.
«Tuttavia i dati sono utili per confermare nella loro giusta convinzione tutti coloro che reputano doveroso aiutare i cittadini ridotti in povertà, tanto più che alla cattiva distribuzione della ricchezza sempre si accompagna la distribuzione altrettanto iniqua del lavoro, del potere, del sapere, delle opportunità e delle tutele. Se si mettono in fila i 196 Paesi del mondo in base alla loro produzione interna lorda, l’Italia si piazza all’ottavo posto», sottolinea.
«Dunque, non si tratta di un Paese povero. Ma siccome la sua ricchezza è distribuita in modo ineguale, ci sono quasi 6 milioni di “poveri assoluti” (cioè che non hanno neppure il minimo per sopravvivere) e quasi otto milioni di “poveri relativi” (cioè che hanno appena il minimo necessario). Un 60% dei poveri “assoluti” non ha lavoro e non può averlo perché si tratta di minori, invalidi e vecchi. Un 20% potrebbe lavorare ma non è facile trovargli un posto perché ha bassa istruzione e minima professionalità. L’ultimo 20% ha un lavoro pagato con un salario talmente basso che, da solo, non assicura la sopravvivenza. Sono anni che tutti i Paesi d’Europa hanno adottato il RdC. L’Italia è arrivata per ultima e con cifre ben più modeste», spiega De Masi.