La saga di Twitter continua, Facebook rompe con le news e la crescita “esplosiva” del Metaverso in Cina

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Anche questa settimana non si è parlato d’altro che di Twitter e di Elon Musk.

Giovedì centinaia di lavoratori hanno deciso di lasciare l’azienda e di non cedere all’ultimatum di Musk, il quale nei giorni precedenti aveva chiesto di scegliere tra un impegno “extremely hardcore” o il licenziamento. Sarebbero più di 500 i dipendenti che hanno scelto di abbandonare Twitter, su circa 3 mila rimasti dopo i tagli al personale voluti dal patron di Tesla. Il nuovo proprietario del social network ha reagito pubblicando alcuni tweet in cui ha affermato che comunque vada, “i migliori sono rimasti” e che la piattaforma ha già segnato “un altro record storico di utenti” e che “ironia della sorte, Twitter è più vivo che mai”, ha scritto, pubblicando un meme di un uomo con il volto coperto da un logo di Twitter che si accascia su una lapide con lo stesso logo.

Il patron di Tesla ha inoltre annunciato di aver riabilitato alcuni account di Twitter: quello della comica Kathie Griffin, che sul social aveva impersonato lo stesso Musk; quello dello psicologo Jorden Peterson, che era stato sospeso lo scorso giugno per aver pubblicato un post sull’attore transgender Elliot Page che infrangeva le regole suo discorsi d’odio; e quello del sito comico conservatore Babylon Be. Tuttavia, il tycoon ha detto di non aver “ancora preso nessuna decisione su Trump”, sulla cui riabilitazione ha lanciato un sondaggio. Tutto questo è accaduto mentre nel social network impazzavano gli hashtag #TwitterDown, #TwitterMigration e #RIPTwitter.

Proseguiamo ora il discorso sui licenziamenti nel settore tech iniziato la settimana scorsa.

Alla lista delle grandi aziende che tagliano sul personale si è aggiunta anche Amazon, il cui amministratore delegato, Andy Jassy, ha annunciato in una comunicazione interna all’azienda che i licenziamenti continueranno anche nel 2023. La notizia dei tagli di Amazon è arrivata dopo che il proprietario dell’azienda, Jeff Bezos, ha detto in un’intervista alla CNN di voler donare la maggior parte del suo patrimonio in beneficenza.

I licenziamenti non sono però solo un problema dell’Occidente: Sea Limited, la più grande azienda digitale del sud est asiatico, con sede a Singapore e quotata alla borsa di New York, ha annunciato che taglierà 7 mila posti di lavoro. Anche GoTo, principale internet company indonesiana, licenzierà: sono almeno 1300 i dipendenti della società che perderanno il lavoro. Shopee, l’Amazon asiatico, giovedì scorso ha annunciato il licenziamento di 100 persone, che si aggiungono ai 7 mila posti di lavoro già tagliati negli ultimi sei mesi.

Parliamo ora di Facebook ed editori.

Un interessante articolo pubblicato sul sito web del Nieman Journalism Lab fa notare come tra gli oltre 10 mila posti di lavoro tagliati dall’azienda, molti siano ruoli che “servivano a fare da ponte” tra l’industria dell’informazione e la tech company di Menlo Park. Meta, sottolinea il Nieman Lab, nel 2019 aveva promesso di investire nell’informazione, stanziando 300 milioni di dollari per sostenere il giornalismo locale, salvo poi spostare le risorse dal News tab, chiudere il programma di newsletter “Bullettin”, chiudere gli Instant Articles, usare algoritmi invece di team dedicati alla curazione dei contenuti e smettere di pagare gli editori americani per le notizie. Tutte queste decisioni chiarirebbero l’obiettivo di Facebook: chiudere una volta per tutte con le news. L’azienda fondata da Mark Zuckerberg, infatti, oggi ha altre priorità: investire nel Metaverso e competere con TikTok.

La crisi degli editori che non molti anni fa andavano alla grande su Facebook si esplica nel declino di BuzzFeed. Il sito americano dal 2011 ha avuto grande successo sul social network, con milioni di follower, click e condivisioni per i propri contenuti virali. Ma, come osserva The Verge, quello che andava nel 2015, non è più cool nel 2022, e BuzzFeed è stata colpita dalla crisi dei social di prima generazione: con lo spostamento degli utenti, soprattutto i più giovani, verso piattaforme come Instagram e TikTok, gli editori che si affidavano a Facebook per generare traffico verso i propri siti hanno perso una fetta del pubblico. BuzzFeed nel 2016 valeva 1,7 miliardi di dollari, mentre oggi, ad un anno dalla quotazione in borsa, il suo valore è sceso a 237 milioni. Sono lontani i tempi in cui 800 mila persone assistevano in diretta sulla pagina Facebook di BuzzFeed all’esplosione di un’anguria intorno alla quale erano state in precedenza disposte decine di elastici per fare pressione.

Gli utenti e i creatori di contenuti stanno migrando verso altre piattaforme. Una di queste, di cui si parla poco, è Spotify, piattaforma di musica in streaming che oggi sta vivendo una vera e propria esplosione dei podcast. L’azienda svedese, che conta 433 milioni di iscritti, tra cui oltre 188 milioni di abbonati Premium, prevede per il 2030 un miliardo di utenti e 50 milioni di creators. In un’intervista a Repubblica, Dawn Ostroff, Chief Content & Advertising Business Officer della società, ha spiegato che i podcast, oltre a creare “una connessione molto intima con chi li realizza”, promettono bene dal punto di vista pubblicitario: “Il coinvolgimento emotivo è più profondo, e dunque consentono di avere un impatto più significativo per gli inserzionisti”, ha detto Ostroff, il quale si aspetta che, “in un futuro non troppo lontano, la pubblicità possa rappresentare circa il 20% del fatturato” di Spotify. Inoltre, in settimana, la società svedese ha anche annunciato che gli iscritti ad Anchor, la propria piattaforma per la creazione di contenuti, potranno pubblicare anche video podcast. Con questa nuova funzione, Spotify lancia la sfida a Youtube, che invece sta puntando molto sul formato “Shorts”: brevi video della durata massima di 1 minuto lanciati per competere con Instagram e TikTok. Youtube ha rilasciato all’interno di Shorts una funzione per incentivare lo shopping, che consiste nel dare ai creators la possibilità di inserire nei video dei link ai prodotti in vendita nei propri negozi.

Chiudiamo con gli ultimi aggiornamenti sulla realtà virtuale.

Secondo una ricerca condotta da Ipsos e dall’Osservatorio sul Metaverso, la nuova realtà tecnologica attrae maggiormente gli over 36, mentre le persone sotto i 25 anni sembrano avere timore di perdere il contatto con la vita fisica. Dallo studio emerge inoltre che, ad oggi, le attività alle quali gli utenti italiani hanno partecipato nel Metaverso riguardano per lo più la sfera della socialità: giocare e trascorrere il tempo con gli amici (quasi la metà della Generazione Z, sotto i 26 anni). Quasi un 30% ha anche esplorato un’altra città, principalmente i Millennials (tra i 27 e i 42 anni), mentre invece chi ha dichiarato di aver acquistato oggetti reali come vestiti e scarpe sono per il 32% gli over 46.
E mentre Meta inizia a investire pesantemente in pubblicità sul Metaverso nei media tradizionali, Apple apre centinaia di posizioni nei propri team dedicati a VR e AR. L’azienda di Cupertino lancerà un visore per la realtà mista nella prima metà del 2023.

Il Metaverso è entrato in un periodo di crescita “esplosiva” anche in Cina, ha dichiarato sabato scorso Wang Jiangping, funzionario del ministero dell’Industria e della tecnologia dell’informazione (MIIT) di Pechino., alla conferenza annuale sulla VR che si tiene dal 2018 a Nanchang. Il paese del Dragone nel 2021 ha raddoppiato i propri investimenti nella realtà virtuale e conta, entro il 2026, di superare i 25 milioni di visori venduti. Lo scorso anno ByteDance, azienda proprietaria di TikTok, ha comprato la startup produttrice di visori Pico, e di recente ha lanciato il Pico 4: questo dispositivo è stato apprezzato in Cina, dove il Quest 2 di Meta non è disponibile.

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