«Sono rimasta indignata ascoltando alcuni dibattiti in televisione sulla questione del 41 bis. E la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la frase: possono vedere i loro familiari soltanto una volta al mese. I figli e parenti delle vittime di mafia e di terrorismo, però, non hanno questa fortuna. E se voglio vedere mio padre devo andare al cimitero di Parma».
Lo ha detto in un’intervista a Il Giornale la deputata Rita Dalla Chiesa, secondo la quale «servirebbe più responsabilità per chi affronta l’argomento in dibattiti pubblici o televisivi. Perché tra chi li ascolta possono esserci persone sensibili al tema. A volte basta un’intonazione sbagliata per veicolare un messaggio pericoloso».
«Sembra quasi che si voglia compatire queste persone. Poverini! sembrano dire. Ma poverini cosa?» ha aggiunto.
In qualità di vittima di mafia quali sentimenti prova di fronte al dibattito sul 41 bis? «Un po’ mi destabilizza. Da garantista mi colpisce profondamente la questione della salute, di fronte alla quale non c’è cittadino di serie A e cittadino di serie B. Detto questo, mi va benissimo che Matteo Messina Denaro riceva tutte le cure del caso in carcere se sta male. È suo diritto essere curato e nostro dovere curarlo. Ma il caso di Cospito è diverso. Si tratta di una malattia auto-imposta con lo sciopero della fame. Lo Stato faccia tutto il possibile per salvarlo. Ma nessuno è al di sopra della legge», ha risposto.
«Il problema è proprio che questa caratteristica del 41 bis non sia abbastanza sottolineata nel dibattito cui stiamo assistendo. Si parla invece di questa norma come di un sistema di tortura che viene inflitta ai condannati per terrorismo e mafia. Nessuna tortura viene loro inflitta. Semmai si vuole evitare che continuino a cospirare e a svolgere la loro attività criminosa», ha spiegato .