«La lotta alla mafia non è fatta solo dal 41 bis e dalle leggi carcerarie, ma si nutre anche ovviamente di quelli che sono i grandi temi della giustizia. Quando sento parlare di riforma delle intercettazioni, quando sento il ministro Nordio che auspica addirittura che le intercettazioni non siano più ritenute un elemento di prova, quando sento ancora oggi che si discute sul limitarle per reati diversi da quelli di mafia e di terrorismo, mi preoccupo».
Lo ha detto a Piazzapulita (La7) dal magistrato Nino Di Matteo, che ha spiegato: «Mi preoccupo perché non si tiene conto del fatto che, per esempio, i reati di corruzione sono sempre più connessi con le attività mafiose. Ci sono decine di importanti vicende mafiose che sono venute fuori da intercettazioni riguardanti altri reati, come rapine, bancarotte fraudolente e truffe».
Quanto alla trattativa Stato-mafia, il pm antimafia ha affermato: «In uno Stato di diritto, se c’è una ragione di Stato che giustifica determinate deroghe alla legge, la ragione di Stato deve essere dichiarata con un’assunzione politica di responsabilità che per quella trattativa non c’è stata. Le ragioni di Stato occulte sono contro il concetto di libertà e di democrazia. Come è scritto nella sentenza d’Appello sulla trattativa Stato-mafia, l’aver trattato con la mafia di Provenzano per arginare la mafia di Riina è gravissimo, perché Provenzano in quel periodo a sua volta ordinava omicidi».
Di Matteo ha anche commentato la vicenda Delmastro-Donzelli, dicendo: «L’utilizzo pubblico che è stato fatto in Parlamento del contenuto di quelle relazioni di servizio ha rischiato di compromettere degli approfondimenti investigativi molto utili per capire l’esistenza di una saldatura tra la mafia e gli interessi di Cospito o degli anarchici. Probabilmente questo approfondimento invstigativo è stato compromesso dalla divulgazione di quelle informazioni. Conta poco che la relazione fosse secretata o meno: è stata in qualche modo compromessa l’efficacia della investigazione».