Anche questo 2 giugno, come gli anni passati, abbiamo sentito tante belle parole pronunciate per celebrare la Festa della Repubblica. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, oggi in un messaggio inviato al capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha affermato che «libertà, uguaglianza, solidarietà, rispetto dei diritti dei singoli e delle comunità sono pilastri fondamentali della nostra Carta costituzionale». Tutto corretto, però[wlm_private “SEF+”] qualcosa non torna.
Se i valori di cui parla Mattarella venissero rispettati, non ci troveremmo nella situazione in cui ci troviamo oggi. In un Paese con quasi 6 milioni di poveri assoluti, ci si chiede dove sia la solidarietà di cui parla. Questa è pura ipocrisia.
Il presidente della Repubblica ha anche detto che «oggi, lavorare all’estero, non dovrebbe più rappresentare, per nessuno, una scelta obbligata – non priva di disagi e di rischi – bensì una opportunità, specialmente per i giovani. È responsabilità, della Repubblica, far sì che si tratti di libera scelta».
Anche queste, come le altre, sono belle parole, ma la realtà è ben diversa e molto lontana dagli auspici di Mattarella, che vanno bene solo per le solite dichiarazioni di circostanza: più del 67% delle aziende controllate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro lo scorso anno sono risultate irregolari.
Bruno Giordano, magistrato e a capo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro dall’agosto 2021 al dicembre 2022, ha spiegato al Fatto Quotidiano che nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e del turismo il tasso di irregolarità «è tale da poter affermare che la regola nei settori trainanti dell’economia è non essere in regola» e che «il lavoro nero è così diffuso che costituisce ormai un terzo dell’economia sommersa». Bruno ha poi aggiunto che «oggi si stanno verificando due fenomeni: il primo è quello delle cosiddette ‘grandi dimissioni’ e il secondo è quello di non accettare più lavori a determinate condizioni».
Stando così le cose, ci si chiede come Mattarella possa solo pensare che un giovane non sia costretto scappare all’estero.
C’è infine il grande problema dell’astensionismo: alle ultime elezioni politiche solo il 63,9% degli elettori è andato a votare, il dato più basso di sempre. Significa che un terzo degli italiani non si riconosce in questa Repubblica perché ha una sfiducia totale nelle istituzioni. E allora la domanda è legittima: ha ancora senso festeggiare il 2 giugno parlando dei valori di solidarietà e comunità? La risposta è, ovviamente, un secco no.
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