
Ogni anno, il parassita Entamoeba histolytica causa circa 70.000 decessi a livello globale e contagia oltre 50 milioni di individui in diverse regioni. Questa ameba ha la capacità di distruggere qualsiasi cellula umana, rappresentando una seria minaccia per la salute pubblica.
Recentemente, un articolo pubblicato sulla rivista Trends in Parasitology ha rivelato importanti scoperte riguardanti il metabolismo di questo parassita, che si adatta rapidamente per attaccare vari tipi di tessuti. La speranza è che queste informazioni possano guidare i ricercatori verso lo sviluppo di terapie efficaci per contrastare la sua diffusione.
La natura distruttiva di Entamoeba histolytica
Il nome specifico di questo parassita, “histolytica”, deriva dal greco e significa “dissoluzione dei tessuti”. Questo termine descrive efficacemente i danni che l’ameba può infliggere al corpo umano, provocando ascessi e sacche purulente negli organi, che si riempiono di cellule morte. I danni che può arrecare sono gravi e complessi, rendendo fondamentale la comprensione del suo comportamento.
La strategia di mimetizzazione
Secondo i ricercatori, tra cui Katherine Ralston, docente di microbiologia presso l’Università della California a Davis, l’Entamoeba histolytica non si limita a uccidere le cellule umane, ma si mimetizza al loro interno. Utilizza le membrane esterne delle cellule per sfuggire al riconoscimento da parte del sistema immunitario. Questo comportamento è simile a quello di un predatore che indossa la pelle delle proprie vittime per confondersi con il gruppo e continuare a colpire.
La complessità del genoma
Questa strategia di mimetizzazione ricorda il comportamento del virus dell’HIV, il quale modifica costantemente le proprie proteine di superficie per eludere il sistema immunitario. Tuttavia, a differenza dell’HIV, il genoma dell’Entamoeba histolytica è molto più complesso, il che ha reso il suo sequenziamento un compito lungo e difficile.
Attualmente, gli scienziati stanno impiegando tecnologie avanzate, come il sistema CRISPR e l’RNAi, per analizzare più a fondo il comportamento di questo parassita. Questi strumenti consentono di identificare parti specifiche del suo genoma che potrebbero diventare obiettivi per lo sviluppo di nuovi farmaci, aprendo la strada a potenziali trattamenti più efficaci contro l’infezione.